NEW YORK, LA MARATONA PIÙ LUNGA DEL MONDO!

SORPRESA! CENTRAL PARK ARRIVA AL KM. 43 E 790

Sto bene, anche se non sono più allenato a queste distanze di corsa, e la mia preparazione per questa gara non è stata eccepibile, sono stanco ma non distrutto.

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Siamo finalmente in Central Park, mancano 2 km. cerco una wi fi per condividere in diretta con gli amici le fasi finali ma non la trovo, dopo alcuni km. di faccia seria, mi trasformo in coach di me stesso e lavoro sul mio stato d’animo, rimetto in campo il sorriso, mi guardo in giro felice mentre registro dei video.

Intanto continuo a cercare energia scambiando incitamenti e ringraziamenti con il pubblico che non ha smesso di spingermi per un attimo. Uno di loro, che diventa subito un amico, mi offre un cioccolatino, lo prendo con entusiasmo, avevo mangiato gel e barrette regolarmente fino ad ora, ma un cioccolatino mi piace come idea.

Usciamo da Central Park per percorrere qualche centinaio di metri di Park Avenue, per poi rientrarci per il pezzo finale, mi aspetta l’ultima salita e la finish line. Ho corso sempre da solo, a parte si intende, la compagnia di tutti gli amici tifosi newyorkesi e un paio di chilometri compresi due passi di ballo con un’amica dell’oncologico romagnolo. In questa parte di gara mi piacerebbe tanto scorgere un viso amico con cui condividere l’arrivo, provo a cercare anche tra il pubblico per sentirmi a casa.

Stefanoooo! Eccola è una voce amica, lo capisco perchè chiama il mio nome e non Jorge, è la fantastica Mariella, senza di lei non saremmo qui, la trovo tra il pubblico dell’ultimo km. corro verso il suo contagioso sorriso, vado alle transenne per abbracciarla, sono grato anche per questo regalo.

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Ormai ci siamo, il Garmin mi dà 42 km ma non vedo l’arrivo, ormai cammino e basta, mi godo gli ultimi applausi, gli incitamenti i sorrisi e i Jorge let’s go, ringrazio tutti, un po’ piango un po’ rido.

Eccole, finalmente scorgo le tribune in cima alla salita, mi guardo intorno, sorrido a tutti e ricevo sorrisi mentre faccio gli ultimi passi di questo viaggio, un altro momento che non dimenticherò e che, come tutte le conquiste importanti, ha cambiato ancora una volta la mia vita.

LA MEDAGLIA E LA GRANDE FATICA

Taglio il traguardo, vorrei baciare il terreno come fanno i campioni, ma gli arrivi si susseguono e gli stewart ci invitano a non fermarci. Nel passare la finish line cerco un viso amico, qualcuno del gruppo, ho finito 4 maratone nella mia carriera da runner ed ero sempre solo, mi manca un abbraccio in questo momento.

Nelle manifestazioni così numerose lo spazio riservato agli atleti non è aperto agli spettatori, il contatto fisico, per me cosi importante, è un aspetto che viene totalmente sacrificato alla sicurezza.

Ecco la mia medaglia da finisher, a sancire il completamento della maratona più bella del mondo, ora lo posso dire anch’io, ho corso a New York! Domani, come ci hanno raccomandato tutti, fatti un in giro per la città con la medaglia al collo, capirai ancora qualcosa del rapporto che ha questa gente, con chi ha sudato e sbuffato per le strade della sua bellissima e frenetica città.

Sarai accolto come un eroe in ogni locale pubblico, per strada i complimenti saranno il seguito degli incitamenti del pubblico sul percorso, due giorni vissuti da protagonista assoluto valgono bene un poco di fatica e di mal di gambe.

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Ecco finalmente una faccia amica, Alberto Belli seduto sul marciapiede, poco dopo la zona dove i camion dell’Ups ci hanno portato le sacche con gli indumenti asciutti, parla poco e batte i denti, non ha nemmeno la forza di alzarsi per prendere la mantellina di alluminio antivento, è provato, nonostante sia un Ironman da poco più di un mese, gliela prendo io e lo copro come fa un papà con il proprio figlioletto.

Di sicuro non sta pensando di alzarsi per abbracciarmi, ma ormai nemmeno io, vorrei cambiarmi gli indumenti sudati ma la temperatura lo sconsiglia e, unica pecca di un organizzazione superefficiente, non ci sono spazi riparati per eseguire l’operazione con un minimo di comfort.

La fatica prende il soppravvento, la gara è terminata, ora possiamo sentirci stanchi. Durante una prova di endurance la mente controlla e gestisce le percezioni inefficaci mantenendo il focus sull’obiettivo, ma appena dopo lo stop, a operazione terminata, riemergono i bisogni primari, riposo, ristoro del corpo e della mente.

A New York l’ultima cosa che mi avevano anticipato riguardava il rientro in hotel , un altra sfida da affrontare, ma questa è un altra storia.

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La giornata, che ha preso il via alle 4,30 di una limpida mattina di novembre a Nuova Yorke, cosi la chiama il mio compagno di avventura e di stanza, odontotecnico come me, Alfonso Ruocco di Gragnano, il paese della pasta più conosciuta e buona al mondo, volge al termine.

Ci aspetta una doccia un po’ di riposo e la cena di rito da Serafina, un ristorante italiano sulla Broadway. A proposito… dov’è Alfonso, al via se ne andato da solo, con passo svelto verso il suo sogno e al mio rientro in camera il suo telefono è li dove lo aveva lasciato la mattina, ma lui non c’è.

Parla poco inglese, come me, forse anche meno, è arrivato più di un ora prima di me, così mi dice Mariella, quando la chiamo per metterla al corrente dell’assenza preoccupante di Alfonso, che non è rientrato ancora.

Ma anche questa è un altra storia, che vi racconterò tra un ringraziamento e l’altro, fra qualche giorno, insieme ad altri momenti del viaggio che ha cambiato la mia vita e quella di tutti noi che eravamo tra le migliaia di runners della maratona di New York del 11-3-2019 esattamente cosi, come lo scrivono gli americani, ai quali va il primo e più grande.

GRAZIE!