MUTA VIETATA PER TUTTI. CON UNA ECCEZIONE!

Al campionato nazionale triathlon olimpico di Iseo è scoppiata la questione della muta. Ma forse è stato un bene. 

Doveva essere la gara del gran caldo, è diventata la gara della Muta vietata. Non che la temperatura non fosse bollente, anzi il motivo del divieto era proprio la temperatura dell’aria all’orario della partenza, intorno alle 13, che sarebbe stata la possibile causa di disidratazione e malori, non la temperatura dell’acqua che prevede un protocollo di misurazione preciso e indiscutibile che solitamente determina l’uso facoltativo o il divieto dell’utilizzo della muta.

Il medico di gara – lo stesso che mi aveva consigliato il ritiro a Lovere – ha deciso che nessuno avrebbe indossato la muta durante la frazione di nuoto per il rischio di colpi di caldo durante la fase del prepartenza, che dura circa un’ora tra il via della prima batteria e l’ultima che era naturalmente la mia.

Proprio il nessuno ha determinato le proteste dei gruppi dall’M3 in su che per regolamento possono utilizzare la muta a discrezione personale anche quando per le altre categorie è vietata. Io sono un M4 e anche per me nuotare senza il vantaggio della muta, che, grazie a spessori diversi di neoprene, determina un galleggiamento migliore per le parti del bacino e delle gambe, non era una bella notizia. Anzi, sarebbe proprio stata la prima volta.   

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La mia mente ha cominciato a dirmi che non potevo farcela, che nelle tre uscite di allenamento in acque libere, con la muta, nella settimana prima della gara non mi ero sentito per niente performante, tanto da dimezzare la distanza prevista e tornare prima possibile a terra. Ogni ragionamento girava in testa nel tentativo di farmi rinunciare: la memoria per ricordarmi che nell’ultimo anno anche in piscina avevo nuotato per l’80% con un ausilio di galleggiamento, oltre ad un costume in neoprene, per non trascinare le gambe in una posizione sfavorevole all’avanzamento e che non avrei mai percorso i 1500 m. solo con il body da gara.

La decisione migliore, considerato anche il caldo, era rinunciare. Ma mi rimaneva un ultimo tentativo:  chiedere di indossare almeno il mio pantaloncino in neoprene sopra il body da gara. Alberto Schivardi, il mio allenatore, nella telefonata classica pregara mi aveva detto che quello sarebbe stato accettato. A questo punto non mi rimaneva che andare dai giudici e chiedere chiarimenti, anche in considerazione della mia condizione.

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I giudici non potevano decidere la deroga, ma hanno dimostrato disponibilità e  con mia sorpresa ho capito che conoscevano il mio progetto. Quindi sono stato accompagnato dal delegato FITRI, che stava già discutendo con altri concorrenti visibilmente contrariati dal divieto del medico, che mi confermava che non era possibile utilizzare il costume.

Dovevo decidere: se partire rischiando un altro ritiro nella frazione di nuoto o rinunciare e starmene a fare il tifo. Mentre vagavo per il village da solo convinto a non partire, mi viene incontro una persona che non conoscevo, con la maglietta della FITRI con il sorriso sulle labbra, è Riccardo Giubilei, il Vice Presidente della Federazione: mi comunica che hanno deciso di permettermi di indossare il pantaloncino.

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Il presidente Fitri, Luigi Bianchi con Riccardo Giubilei (al centro) e Martina Dogana

L’amico, Riccardo mi scrive queste significative righe.

‘Occuparmi di triathlon a 360 gradi, girando l’Italia e cercando di oliare i meccanismi di una macchina sempre più grande e complicata da gestire non è facile. Abbiamo di fronte una sfida importante, che impone un lavoro quotidiano ed appassionato e al contempo equilibrio e capacità di lettura, perché il mondo del triathlon evolve in modo velocissimo e coinvolge sempre più persone di ogni età e condizione.

Ho conosciuto Stefano nell’attimo fugace ed infinito in cui ha tagliato il traguardo a Bardolino, in un sabato caldo e difficile. Mi aveva chiesto di lui un suo amico dell’Associazione, chiedendomi se lo avessi visto uscire dall’acqua nel tempo limite, visto che si trattata di un “atleta particolare”. Da quel momento l’ho seguito passo passo dai rilevamenti, senza dirgli nulla, gioendo in cuor mio di ogni piccolo traguardo raggiunto, fino ai metri finali.

Domenica mattina ho visto il gazebo dell’Associazione Parkinson&Triathlon nel campus a ridosso della zona cambio e quando il medico di gara ha sentenziato il divieto assoluto della muta, ho subito pensato alle difficoltà che Stefano avrebbe potuto avere. Ho chiamato perciò il Delegato Tecnico e consultato i giudici: abbiamo convenuto che l’utilizzo di un pantaloncino in neoprene potesse fornire il giusto compromesso, più psicologico che funzionale, per un atleta pronto a scrivere una pagina importante per l’intero nostro movimento.

Grazie Stefano, per aver dimostrato che la mente vince sul corpo, ma soprattutto perché mi hai dato modo di dimostrare che la FITri è attenta alle dinamiche legate alla vostra Associazione. Ci vediamo sui campi gara, campione!’

Il mio stato d’animo è cambiato completamente, non tanto per il costume in sé, ma perchè in quel momento con quella decisione si apriva una porta alla possibilità di definire, per i pazienti Parkinson o addirittura per tutti gli atleti con una patologia degenerativa che ne determini un deficit prestazionale, una eccezione al regolamento, che con le dovute considerazioni può aprire nuove opportunità ad altri atleti con delle caratteristiche particolari.

Ancora non so cosa e come potrà valere questa apertura da parte della FITRI al mio caso, ne parlerò con qualcuno nei prossimi giorni, ma al momento per me è stata una grande soddisfazione, un segnale che quello che stiamo facendo ha generato attenzione a livello nazionale.

Per me è stata la gara più dura di sempre, il racconto nel prossimo articolo, lo conferma il tempo totale ed anche i tempi nel dettaglio: non avevamo gestito la preparazione per arrivare al meglio a questo appuntamento, era solo la mia volontà di chiudere a Iseo, in casa e sul mio lago, la prima parte della stagione.

Ma è stata una gara importante, e forse non solo per me, per tutti gli atleti con malattie degenerative che non si vogliono fermare.