‘Raccontare dei successi e dei fischi non parlare mai’

Così cantava Ron in una canzone. I fischi li ho sentiti, ma venivano solamente da me stesso, per non aver preso il controllo del mio cervello  quando ha cominciato a dirmi che non potevo respirare e nuotare allo stesso tempo.

Che stress emotivo e Parkinson non vadano d’accordo è noto, le domande che mi faccio sono: le difficoltà respiratorie possono essere una conseguenza della malattia? cosa posso cambiare nel mio pre-gara e durante la frazione di nuoto per controllare la tensione agonistica?  

Con questa immagine, scattata domenica mattina alle 5 dalla finestra della camera, iniziava la mia giornata. Il lago era calmo e invitante, quasi una culla in cui adagiarsi, talmente tranquillo da farmi pensare che nuotare sarebbe stato bello e facile. La giornata luminosa, nemmeno una nuvola, l’estate era arrivata due giorni prima proprio per far da cornice alla mia giornata perfetta.

Almeno, così credevo.

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Anche il sabato era stato splendido, io e Roberto, mio insostituibile assistente e amico, avevamo montato il gazebo in orario. Ormai andiamo a memoria, siamo fortissimi, vicino agli amici di 3T bike, con cui avevamo seguito la tappa più dura del giro d’Italia nella speranza di vivere un’impresa di Nibali, che però non è arrivata.

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La sera era in programma una cena con pochi amici tra cui Roberta Maule, fortissima triathleta, laureata in scienze motorie e in ginnastica preventiva  adattata a disabili e anziani, che ho conosciuto perché lavora con pazienti Parkinson a Peschiera del Garda. Roberta è anche laureata in scienze dell’alimentazione umana, chi meglio di lei poteva conoscere perfettamente le mie caratteristiche? Infatti, e per questo la ringrazio, sto seguendo da qualche mese un suo programma alimentare specifico.

Durante la cena ho conosciuto una triathleta, amica di Roberta poco social e molto riservata, che fa gare dal 1993 di cui, se avrò il suo permesso vi racconterò la storia. 35 anni fa, a seguito di un incidente per riabilitarsi ha iniziato a praticare il triathlon, vincendo gare in tutte le distanze.

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La notte era andata abbastanza bene, come sempre mi capita già dai tempi delle regate in vela, che prevedevano spesso una sveglia di buon ora: ero eccitato e non ho dormito molto, ma mi sentivo bene. Ho fatto colazione in appartamento, con le cose che mangio di solito portate da casa per evitare sorprese, anche l’intestino si era comportato bene e il pregara con tutti i preparativi si era svolto senza intoppi. Solo una piccola distrazione aveva fatto si che sabato pomeriggio mettessi il mio pettorale nella borsa di un altro concorrente, allenato da Alberto – problema risolto in tempo.

Era tutto perfetto, tutto ciò che stava intorno e dentro di me. Avevo fatto già un tuffo e qualche bracciata per acclimatarmi, anche due giorni prima avevo nuotato nelle stesse acque la distanza della gara 1900 m. e ciò mi faceva sentire tranquillo, nessun segnale di quello che la mia mente aveva in serbo per me.

come si dice… fin qui tutto bene

La mia batteria era l’ultima, circa 250 atleti scatenati che partono insieme al suono di una sirena, verso un punto arancio distante 850 m. la chiamiamo la tonnara della partenza. Ognuno cerca il suo spazio per percorrere la distanza più breve da li alla prima boa, i più forti si accalcano nella zona centrale della linea di partenza cercando di scappare agli altri, un bel gruppo si guadagna il suo spazio dando manate e pedate avanti e dietro a se, gli altri senza ambizioni di classifica che vogliono solo arrivare sani e salvi, come me, si prendono il loro spazio in coda o a lato. Dopo qualche centinaio di metri le posizioni si delineano e si può nuotare più tranquilli con il proprio passo.

Perché ho speso tutto questo spazio per raccontare il pregara? Perché la gara, poi, praticamente non c’è stata. Non sono riuscito mai a nuotare a stile libero e a respirare correttamente, se non per un paio di centinaia di metri, dopo i quali ho alternato tutti gli stili possibili, che mi consentivano di respirare, comunque in affanno, con la testa fuori dalla acqua, rana, dorso, dorso con bracciata a due braccia e anche solo con le gambe. Ho usato persino lo stile da marinaio come qualcuno lo chiama, quello che usava mio papà, con un braccio allungato in avanti avanzando sul fianco. Tutte le posizioni che mi consentivano di respirare, e meno male che avevo la muta che ti tiene a galla senza problemi anche senza muoverti.

Ho finito da solo. No, non volevo rinunciare. Non volevo rinunciare assolutamente. Ero convinto che una volta a terra avrei inforcato la mia bicicletta e avrei continuato la mia gara. Ma è stata un’agonia. Più volte mi sono attaccato al mio angelo custode in canoa, che dalla seconda boa in poi mi ha accompagnato metro a metro, probabilmente dovevo già essere squalificato per quello, ma nemmeno il giudice più fiscale in quel momento mi avrebbe detto che non potevo farlo.

Si alternavano stati d’animo in cui mi dicevo, ok adesso ti riprendi e cominci a nuotare, sei qui da solo tranquillo, lo sai fare, forza cosa te lo impedisce? Ed ogni volta che ci provavo la stessa cosa, due respirazioni e poi il bisogno di tenere la testa fuori dall’acqua. Pensavo a mio fratello Marco, venuto per tifare per me, che mi stava aspettando all’uscita dall’acqua e che non mi vedeva arrivare, avrei voluto avere il telefono per mandargli un whatsupp, non preoccuparti sono quel puntino bianco che vedi avanzare molto ma molto lentamente verso di te.

Ho pensato più volte di rinunciare, ma non volevo finire li la mia gara. Ho imparato che si disperdono energie anche per resistere alla tentazione di salire sulla barca del soccorso, cosa che per due volte qualcuno mi ha chiesto. Incredibile, ma verificato da me, in quel momento nemmeno sentire il conteggio dei metri che mancavano, o il tempo previsto del mio arrivo mi aiutavano a sentirmi meglio. La mia mente che diceva al mio corpo fermati, mentre io e la mia volontà lo obbligavamo a continuare. Ho finito la frazione uscendo dall’acqua a carponi, mi spiace che nessuno abbia immortalato il mio stile in uscita, probabilmente fra qualche anno ci riderò su, o forse già fra qualche giorno. Intanto quando mia moglie mi ha raggiunto con il suo abbraccio, mi sono lasciato andare a un bel pianto.

Nei prossimi giorni cercherò di capire cosa fare per non ritrovarmi nella stessa situazione nelle prossime gare di triathlon olimpico  – a Iseo il 30 giugno e a luglio nelle due traversate già programmate da 3 km. circa, la Lovere Pisogne sul lago d’Iseo e lo stretto di Messina.

Per ora l’obiettivo 70.3 è solo rimandato, rivedrò con Alberto il mio programma sportivo di quest’anno, mi sembra di ricordare che degli amici hanno in programma qualcosa a settembre, forse a Cervia?

Una cosa sola posso dire. Anche questa esperienza la metto tra quelle che mi hanno insegnato qualcosa.

 

Un pensiero su “‘Raccontare dei successi e dei fischi non parlare mai’

  1. Ausilia

    Leggerti è comprendere quanta forza hai per lottare … Sei un grande Stefano .. chi la dura la vince! Un abbracciio

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